MOTOLOGY

Elefantentreffen: Il battesimo

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Uomini con la pelle dura, la barba lunga e le spalle larghe non mancano mai a uno dei motoraduni più freddi, più belli e più veri: quest’anno, c’ero anch’io!

Che cos’è l’ Elefantentreffen? E’ il più freddo raduno motociclistico d’Europa! Tutti gli anni si svolge in Germania durante l’ultimo week end di gennaio, fin dal 1959 quando un gruppo di sidecar della seconda guerra mondiale si ritrovò in quella buca.

Non è una cosa da tutti e il semplice fatto di arrivarci è già motivo per essere soddisfatti.

Quest’anno volevo dire anch’io: io c’ero e, così, ho scelto di partire.

Come tutti i miei viaggi, anche questo è preceduto da una notte agitata con pensieri discordanti e la ragione che mi impone di non partire per un avventura folle come l’Elefantreffen tra freddo, neve e probabili inconvenienti. Ma, l’esigenza di arricchirsi di nuove esperienze e la voglia di andare, mi fanno addormentare più o meno sereno.  La sveglia suona (per l’occasione ho scelto “99 luft ballons”), alle 5:30 di un piovoso e freddo Venerdì 31 Gennaio.

Dopo un’abbondante colazione, inizia la vestizione con l’adeguato abbigliamento tecnico, comprato giusto per l’occasione! Calzamaglia e maglietta termica, due paia di calze e scarpe più grandi di un numero, un comodo paio di jeans, un pile, pantaloni imbottiti e per finire un ottimo giubbotto per il quale non ho badato a spese.

Apro li box, il mio Poldo (Kawasaki Vn 1700 classic) è già pronto dalla sera prima, le borse sono piene con tutto il necessario per sopravvivere alle intemperie del viaggio che sto per affrontare. Tute anti acqua, attrezzi vari, fascette e nastro americano sono sempre presenti.

LA PARTENZA

Ore 7:30 casello di Agrate: prendo il biglietto dell’autostrada e mi aggrego ad un paio di ragazzi conosciuti su Facebook, anche loro diretti all’Elefante. Uno di loro ha un GS 800 carico fino all’inverosimile e con tanto di passeggero, mentre l’altro ha un GS 1200, la moto più utilizzata per questo tipo di raduno.

Procediamo spediti sotto un incessante diluvio con una velocità intorno ai 130 km\h, riesco a fatica a stargli dietro, il mio povero Poldo è quasi al massimo delle suo possibilità e il grande parabrezza che mi protegge comincia a diventare un impedimento, tanto che, ad ogni piccola curva, sono costretto a rallentare parecchio; la distanza che mi separa dai miei compagni aumenta sempre più e, come se non bastasse, poco dopo Trento inizia a nevicare! Io ho delle gomme normalissime e la neve si attacca al parabrezza della moto e alla visiera del casco. Sono costretto a rallentare ulteriormente, anche perché la mia moto non ha nemmeno l’abs.

I miei compagni, invece, avanzano spediti nella neve con le loro belle moto, con gomme tassellate e tutti i controlli elettronici che lavorano per la loro sicurezza; sono solo, con una moto inadatta e con una visibilità veramente scarsa.

Come se tutto questo non fosse già abbastanza, mi cade l’occhio sulla mia GoPro fissata alla barra paramotore e mi accorgo che vibra in maniera insolita, accosto un attimo credendo che il problema fosse una vite allentata dalle vibrazioni, ma non appena la tocco il pezzo di plastica che la lega alla moto si spacca a metà: probabilmente, non ha resistito alle temperature sotto zero e alle vibrazioni della moto. “Cominciamo bene, ma almeno non l’ho persa per strada” borbotto nel casco

La differenza di passo tra me e i miei amici è tale che riesco raggiungerli solo perché siamo tutti costretti a fermarci in Autogrill per acquistare la vignetta dell’Austria e per fare un rifornimento. Riusciamo ad attraversare, giusto in tempo, il confine: dopo il nostro passaggio chiudono, infatti, il casello per la troppa neve.

A velocità ridotta mi accodo ad una decina di altre moto e mi fermo come loro alla prima area di sosta per fare rifornimento. Purtroppo, però, non è passato lo spazzaneve nella bretella che collega l’autostrada al benzinaio e i grandi camion hanno compattato la neve sulla strada rendendola molto scivolosa, motivo per il quale nessuno di noi riesce ad entrare senza una bella caduta: chi aveva una Enduro è stato spinto a terra dal peso e dall’altezza della moto. Io, invece, ho semplicemente aperto le gambe, la mia moto è caduta sotto di me, per fortuna senza danni, le ottime protezioni per il motore hanno attutito l’impatto con l’asfalto, risparmiando anche il serbatoio e il manubrio.

Dopo questa piccola sosta obbligatoria, sono ripartito da solo alla volta di Innsbruck: sotto la neve e in solitudine, ho avuto modo di ammirare i magnifici paesaggi che le Alpi sanno riservare a chi è abbastanza ardito da tentare la loro attraversata nel mese di Gennaio con una moto.

Il superamento della catena montuosa è subito ricompensato con la più gradita di tutte le sorprese: il sole! Dopo 400 chilometri di acqua e neve, finalmente il sole! Faccio giusto in tempo a raggiungere una velocità dignitosa che avverto distintamente un rumore metallico, come se qualcosa si fosse staccato dalla moto: mi accorgo che la vite che sostiene i piccoli deflettori che proteggono le gambe è sparita, al momento non do peso alla cosa e accelero ulteriormente, ma osservando attentamente il parabrezza della moto mi rendo conto che sta iniziando a vibrare in modo sempre più violento, quindi mi fermo alla prima area di servizio per cercare di risolvere il problema.

Trovo l’astuccio con le fascette e lego come meglio riesco il deflettore alla sospensione, per l’ennesima volta le fascette mi hanno salvato.

Procedo spedito sull’autostrada austriaca: il paesaggio è talmente bello che mi dimentico di fermarmi a pranzare e tiro dritto per molti chilometri.

L’auricolare che ho nel casco suona “Eye of the tiger” e, nonostante sia da solo da parecchie ore, la musica riesce farmi divertire anche tra le monotone pianure del sud della Germania.

il mio navigatore segna 70 chilometri all’arrivo in buca, quando, dietro di me,vedo spuntare i miei compagni di viaggio!!

Incredibilmente, ero davanti io, sono riusciti a raggiungermi solo perché in Germania possono procedere senza limiti di velocità. Scambiamo un paio di parole senza fermarci, entrambi stupiti del fatto che quello davanti fossi io, a cavallo di Poldo.

Seguiamo il navigatore fino alla buca, arriviamo prima del tramonto: il caldo fuori stagione ha sciolto quasi tutta la neve e le strade sono molto pulite, purtroppo anche bagnate per la neve che si scioglie ai margini dell’asfalto.

L’ARRIVO

Varco le famose “colonne d’ercole  dell’elefante” per le foto di rito e, subito dopo, saluto i miei amici per raggiungere l’albergo che avevo prenotato da casa.

(Dopo l’acquisto dei capi d’abbigliamento tecnico, non mi sono sentito di comprare anche tutto il necessario per il campeggio, ma la prossima volta sicuramente mi fermerò in buca!).

Mi fido del navigatore che mi porta in una via stretta, ripida e in aperta campagna che si conclude tra il fango e una montagna di neve che blocca la strada!

Preso dal panico per la distanza da ogni centro abitato e nell’impossibilità di muovermi in moto, decido di fermarmi a riflettere, accendo l’ultima sigaretta del pacchetto e aspetto…

Sono solo, fermo, ed è quasi buio, ho percorso più di 700 chilometri e sono veramente stanco. Lascio la moto e torno indietro a piedi raggiungendo un piccolo paesino deserto. Decido di bussare alla porta di una grande casa di campagna: mi apre un signore anziano dalla corporatura robusta che mi squadra dalla testa ai piedi, non devo certo avere un bell’aspetto, ma sfido chiunque, dopo una giornata così, a essere anche solo presentabile.

A gesti e con poche parole riesco a farmi capire, il signore mi segue verso la moto: gli mostro il problema, cerchiamo in due di tirare indietro la moto, ma è tutto inutile, il fango ci fa scivolare e otteniamo solo un altra caduta del mio povero Poldo.

Alla fine, grazie al gancio di traino dell’ auto del mio “salvatore” e all’aiuto di sua moglie, che ci aveva raggiunti con due assi di legno, riusciamo, dopo un ora, a riportare la moto sull’asfalto!

Raggiungo l’albergo verso le 20 e, dopo un buon sonno ristoratore, mi alzo a fatica tutto dolorante, come fosse il giorno dopo palestra. Questi sono i risultati dell’ andare in giro con una moto da quasi 400 kg…

Faccio colazione in un lampo, mi vesto senza nemmeno bisogno dei pantaloni da moto o delle calzamaglie: c’è il sole, ci sono 10°C e sono le nove del mattino, punto il navigatore per andare in buca dai miei amici campeggiatori.

La famosa buca, in passato, deve essere stata una cava: è chiusa da tre lati da quelli che devono essere stati i percorsi dei mezzi da lavoro, mentre nell’ultimo lato c’è un grande spiazzo aperto dove oggi si fermano i campeggiatori e, tutto intorno, una bellissima foresta sempre verde.

Ieri ho notato che, al mio arrivo, erano già presenti moltissime tende, senza un ordine preciso, dalle piccole tende facili da trasportare in moto a delle vere piazze d’armi con tanto di stufa a legna e spazio per tenere le moto al caldo.

Ad ogni campeggiatore vengono distribuite delle balle di fieno per isolare la tenda dal freddo suolo ricoperto di neve ed è anche possibile acquistare della legna per accendere dei fuochi, utili sia per farsi vedere che per cucinare.

Col calare della sera i primi fuochi rischiarano l’oscurità della buca, ove non è presente nemmeno un lampione.

Il profumo di carne alla griglia invade il territorio:  salamelle e wusterl sono presenti ovunque e il cielo stellato ci ha regala una vista magnifica che resterà impressa a lungo nella mente delle persone presenti quella sera.

Il forte vociare nella notte è una routine; qui sono presenti tutte le lingue d’Europa, ma anche se veniamo da posti lontani, nella buca ci si sente a casa, non si ha bisogno di niente pur non avendo nulla, si è da soli con la natura, ma ci si sente in compagnia di tutti.

I partecipanti all’Elefantentreffen sono tutti veri uomini, che non hanno bisogno delle comodità della vita moderna, niente acqua calda, niente elettricità, niente di niente.

Uomini con la pelle dura, la barba lunga e le spalle larghe, disposti a faticare per ottenere quello che vogliono, disposti a subire il freddo pur di poter dire : “io c’ero”

Io ero uno di quelli che c’era, ho conosciuto molti di loro, tutti simpatici e pronti a dare una mano a chi ne avesse bisogno;  molte moto restano impantanate nel fango, ma tutti aiutano per poter togliere dai guai il mal capitato.

La generosità e le sincerità dei partecipanti è la loro forza.

Nella buca non si paga nulla, ma si scambia tutto: la grappa italiana è molto richiesta e riscuote un certo successo, è facile scambiare un bicchiere di grappa con una birra o una salamella.

Ma il vero divertimento sta nel dopo cena, quando tutti si sentono liberi di bere e il tasso alcolico sale notevolmente, vengono sparati dei veri fuochi d’artificio che illuminano la notte, le moto più rumorose vengono accese e portate fino al massimo, un pò come a dire “Io sono qui” .

Chi viene dal nord Europa si riconosce anche dall’abbigliamento, molto essenziale per sfidare il freddo, un paio di jeans (generalmente sporchi di fango) e un maglione in pile, non può mancare ovviamente il classico colbacco!!

Noi invece, abituati a temperature più miti, siamo coperti dalla testa ai piedi, e, il più delle volte, sempre in abbigliamento tecnico da moto anche all’interno della buca.

IL RIENTRO

La sera che precede il rientro a casa sono un pò preoccupato: il viaggio di andata non è stato tutto rose e fiori (anzi!), spero, dunque, che il ritorno sia meglio.

Pioggia, freddo e neve sono sempre lì in agguato e, passato il Brennero,  il buon senso mi impone di rallentare, ma la voglia di arrivare a casa e riabbracciare la mia ragazza, è davvero tanta.

Quando ormai mancano 70 km a Milano, sento che il mio abbigliamento in gore tex non ha resistito alla quantità d’acqua presa, ma non ho altra scelta, proseguo con “Sweet Home Alabama” che suona nel casco.

Al casello di Agrate il mio fido Poldo non ne vuole sapere di ripartire, allora la spingo avanti con le gambe e nel disperato tentativo di farla partire ingrano la seconda, mollo la frizione e schiaccio lo start … la moto parte!

Accelero un pò perché sembra non tenere più il minimo e, finalmente, mi dirigo verso casa; le strade italiane si riconoscono subito: piene di buche e ghiaia, guido con prudenza fino all’auto lavaggio vicino a casa mia dove lavo il mio povero Poldo, che è caduto un paio di volte ed è incrostato di sale.

Prima di rimetterla nel box mi fermo ad osservare la mia moto: l’ho portata al limite delle sue possibilità in ambienti non adatti a lei, nel fango nella neve e sotto l’acqua, il mio Poldo non mi ha mai tradito, è sempre ripartito, certo qualche volta con un pò d’incertezza. Ma non importa. Io e Poldo siamo a casa!

Forse adesso vi starete domandando: “Ma perché un gruppo di persone sane di mente dovrebbe andare all’ Elefantentreffen“? Una vera risposta, forse, non esiste; forse dovreste partecipare a uno dei raduni più belli, più freddi e più veri che c’è … e io, quest’anno, c’ero!

by Alberto Nigri

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