MOTOLOGY

Il mio Vietnam

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31 gennaio 2012

La sveglia suona presto (come sempre), ma il corpo reagisce con calma e  nessuna voglia di mettersi in marcia prima delle 10:00. Eppure sono in viaggio da sei mesi e dovrei saperlo che va sempre a finire così… Il meteo non aiuta: mi sveglio con un cielo completamente coperto, aria bella fresca ed un vento crescente. Carico la moto e mi metto in marcia verso la statale 8, ruota anteriore verso est e verso il Vietnam. L’aria diventa sempre più fredda, il cielo peggiora chilometro dopo chilometro e… arriva l’immancabile pioggia; mi tocca fermarmi e mettere le coperte impermeabili alle varie borse, nonché denudarmi lungo la strada per mettere gli inserti antipioggia a giacca e pantalone. La strada mi fa salire molto di quota e, dopo un mese di bel tempo e di caldo intenso, per la prima volta percepisco il freddo (da quando ho lasciato il Nepal). A mano a mano che mi inerpico per la montagna, la sensazione che ne scaturisce è quella di esser finito dentro una nuvola! Visibilità che si riduce sino ad massimo di venticinque metri, pioggerellina costante, temperatura in calo e… umidità pazzesca! Raggiungo in confine a passo di lumaca: la strada è viscida e piena d curve, ma per fortuna non c’è traffico. Il visto ce l’ho (fatto a Bangkok), l’incognita è: lasceranno entrare la mia moto? Difatti, alla frontiera laotiana chiedo il permesso di poter raggiungere a piedi il lato vietnamita prima di apporre il timbro di uscita sul mio passaporto. Nel qual caso non accettassero la mia motocicletta, dovrei rientrare in Laos e pagare nuovamente 35 $ di visto! Un pick up mi dà un passaggio (nel cassone) per l’andata: come E.T. nel cestino della bici, sembro un marziano trasportato verso un mondo lontano… Alla frontiera vietnamita, grazie alla traduzione dell’unica impiegata che parla inglese, mi confermano che la mia Africa Twin può entrare nel Paese. Alla faccia di tutti quelli che mi avevan detto che la massima cilindrata accettata in Vietnam era di 250 cc… Torno (a piedi) verso la frontiera laotiana per espletare le pratiche di uscita dal Paese. Il tutto sotto una pioggia fastidiosa e costante. Di nuovo dal lato vietnamita: timbro del visto (non prima di 1 $ di ‘mancia’ agli ufficiali del controllo visti), timbro del Carnet de Passages e finalmente riesco a mettere le ruote in Vietnam! Spettacolo! Sono raggiante! In tanti non vi erano riusciti e, ormai, stavo per accantonare l’idea di entrare in questa nazione e… be’, dopo averne sentito solo parlare sui libri e dopo averla vista in tanti film che la ritraevano solo in tempi di guerra, mi fa un bell’effetto esser qua! Ma prima mi tocca uscire dalla nuvola che mi sovrasta, guidando lentamente e con cautela districandomi in una strada di montagna caratterizzata dall’asfalto sconnesso, fradicio e ‘colorato’ da fango e sassi d’ogni genere. Finalmente riesco ad uscire dalle nebbia e ravvivare il mio nervo ottico con un paesaggio semplicemente meraviglioso: natura incontaminata dappertutto! Le prime  persone che incrocio (ma sarà sempre così) mi salutano, mi sorridono e mi guardano con profonda curiosità. Vuoi sentirti una star di Hollywood sebbene non sappia recitare? Il Vietnam è quel che fa per te! Mi sembra di esser tornato in Iran: tutti che mi guardano e mi gridano “Hello, hello!” Che meraviglia… Le strade ed il traffico, invece, mi ricordano l’India: asfalto pietoso, fanghiglia un po’ ovunque, sorpassi disordinati e sonori clacson.  Cambio i miei Kip laotiani in Dong vietnamiti in una gioielleria… è una cosa comune da queste parti. Mi districo fra stradine e paesini: schivando motorini e biciclette in ogni dove, raggiungo la statale AH1, vicino alla costa e finalmente in serata intravedo un motel dove mi fiondo con tutti gli stivali infangati. La maglia che ho usato per guidare è uno straccio di sudore: nonostante la temperatura non sia elevatissima, il tasso d’umidità è pazzesco. Cena a base di zuppa e, mentre cammino per strada, mi si avvicinano dei ragazzini sorridenti che iniziano a farmi una pletora di domande, chiedendomi praticamente di tutto. Sono curiosissimi e possiamo comunicare solo grazie alla ragazzina più piccola che ha appena nove anni, ma parla davvero bene in inglese. L’indomani il copione si discosta di poco rispetto a quello precedente: mi tocca viaggiare con gli inserti invernali e tenere coperte tutte le borse con le coperte antipioggia, vista la brina e la pioggerellina mattutine. Questo tempo mi accompagna durante tutta la giornata e lungo il cammino verso Hué. La mia rotta segue la strada AH1 che si snoda vicino al mare e… mi regala dei paesaggi davvero emozionanti. Peccato il meteo mi conceda di fare solo fotografie, sebbene la voglia di fare un tuffo sia fortissima. Arrivo a in serata a Hué, città caratterizzata da hotel di lusso, traffico intenso e turisti dappertutto. Incontro Mariano, un ragazzo tedesco, e mi faccio indirizzare verso il suo ostello. Trascorriamo una serata tranquilla a zonzo per strade affollate di turisti schivando venditori, spacciatori e papponi, autisti di taxi e risciò… tutta gente che si avvicina (ogni due minuti) proponendoci i propri servigi (o di loro ‘amiche’). L’indomani visita alla stupenda cittadella imperiale (Hué era la capitale dell’antico impero), malandata e perennemente in restauro: questa zona è stata teatro di molti combattimenti e gli statunitensi non ci sono andati leggeri con i bombardamenti, noncuranti del patrimonio artistico del Paese. Incontro Jack (australiano), Fabio (italiano), Victor e Renato (brasiliani) e insieme facciamo comunella per la cena. Si sono incontrati tutti su un autobus (mezzo di trasporto principe per i viaggiatori ‘zaino in spalla’ in Vietnam) e mi aggrego volentieri a questo nutrito gruppo di ragazzi con tanta voglia di divertirsi e di scoprire. Siamo tutti in rotta verso Hoi An e là ci diamo appuntamento. Per me una bella sveglia all’alba (stavolta ci riesco) con tanto di lite con la reception (visto un sospetto fraintendimento circa il prezzo della camera) e tanta strada per schivare (e schifare) gli autisti degli autobus. Sono quasi tornato in India: qui vige la ‘legge del più grande’ e TUTTI gli autisti effettuano sorpassi sconsiderati e in totale noncuranza di chi viene di fronte. È vero che i tanti motorini presenti in strada (e relegati al margine destro della stessa) sono un traffico decisamente imprevedibile, ma che c’entro io?! Ho il mio bel da fare a seguire la strada (che spesso passa dentro le cittadine), indovinare le mosse delle centinaia di scooter che sorpasso ed evitare di fare un frontale con chi sopraggiunge di fronte. Addirittura chi è in motorino non mette la freccia, usa il braccio (!) per indicare le proprie intenzioni… quando le manifesta! Mentre gli autobus che arrivano di fronte effettuano sorpassi con le quattro frecce aspettandosi che accosti a bordo strada per farli passare. E devo cedere a questa ‘legge’, non senza mostrare il mio disappunto con la mai dimenticata gestualità italiana. Arrivo a Hoi An stanco, ma con tanta voglia di scoprire le numerose e coloratissime stradine di questo incantevole paesino. Nonostante gli immancabili e petulanti venditori ambulanti, sono in buona compagnia e le ore scorrono piacevolissime. Visito My Son, località una volta tappezzata di templi… semplicemente magnifici! Dei settanta originari ne sono rimasti solo venti, di cui diciassette in pessime condizioni. I restanti tre sono visitabili, ma comunque fanno intendere di aver visto tempi migliori. In primis i francesi avevano saccheggiato e depredato l’oro che adornava le facciate degli edifici; in seguito i bombardamenti statunitensi hanno fatto il resto. Vi sono ancora i segni delle bombe, davvero delle buche enormi. Impressionante. Un vero peccato: questo posto sarebbe stato una meraviglia, ma ha dovuto fare i conti con il colonialismo nord americano… e ha avuto decisamente la peggio. Altra tappa verso Nha Trang, stavolta di quelle ‘serie’: 524 km tutti d’un fiato (alla fine saranno nove ore di guida) sulla stessa statale in cui ho viaggiato sinora. Stavolta lo scenario cambia: dopo poche ore il sole si riaffaccia ed il cielo diventa nuovamente colorato d’azzurro. Rinizia a fare caldo e posso viaggiare nuovamente in configurazione estiva. Anche la moto dev’essere di umore giusto, visto che mi fa 19km/l… ma stendo un velo pietoso sul traffico e questi dannati autisti di autobus. Affronto un passo che sale lungo la costa: i panorami sono mozzafiato e ‘devo’ continuamente fermarmi a fare delle fotografie e riempirmi gli occhi di questi scenari meravigliosi. Quando finalmente torno al livello del mare, un odore permeante di sale e reti da pesca m’investe. Mi inebrio sino al midollo di quest’aria e per pochi secondi sento la Felicità (con la lettera maiuscola, sì) attraversare ogni singolo atomo del mio corpo. Posso dire che quanto provato su queste strade merita in tutto e per tutto i sei mesi di sudore, polvere e fatica per arrivare sin qui. E, a conferma del fatto che la Felicità duri un attimo, ci pensa un altro autobus in sorpasso a riportarmi con i piedi… le ruote a terra e riconcentrarmi sula strada. Non avevo mai viaggiato in gruppo: difatti ho sempre fatto chilometri da solo, ma questi quattro ragazzi sono una bella cricca e sono felice di averli incrociati: trascorrere altri giorni insieme non è per nulla scontato e rende la nostra frequentazione ancora più particolare. Certo, loro si spostano in autobus ed io perennemente in moto, ma dopo mesi di viaggio in solitaria, mi fa piacere arrivare a destinazione e vedere facce amiche. Ci rincontriamo finalmente tutti a Nha Trang, stupenda località di mare piena di hotel di lusso e frequentatori russi. Nonostante il viaggio abbastanza provante sono più che felice: stavolta la temperatura è quella giusta e posso concedermi il piacere della sabbia fra le dita dei piedi e rimettermi a mollo dopo tantissimo tempo. Peccato sembri di essere a Rimini: hotel, tanti seccatori che ti vogliono vendere di tutto (occhiali, sigarette, cocco, biglietti della lotteria…), urbanizzazione ai massimi livelli e tanto traffico. Sembra Ferragosto e c’è molta più gente di quanta ne desideri, ma la spiaggia dinanzi a me fa in modo di farmi dimenticare di tutto e tutti, dopo gli ultimi giorni di pioggia e freddo. Provo a connettermi ad internet per tenere aggiornato mio il sito internet (www.australiatwin.it), ma le connessioni fanno pena e molti siti sono addirittura bloccati dal governo. Ci vuole un proxy per poter accedere a diversi siti proibiti e non sempre funziona. Ma un po’ di giorni lontano dalla tecnologia non possono che farmi bene… Mi godo il tepore del Mar Cinese Meridionale e la sensazione di nuotare, ripensando alla strada sin qui fatta in sei mesi di viaggio lontano dalla mia Termoli… è assolutamente incredibile! Un po’ di relax e poi ancora in moto: ancora sole ed una strada panoramica e spettacolare sino a Mui Ne, decisamente più riservata e ‘per famiglie’. Stavolta mi godo veramente ogni singolo chilometro d’asfalto:  traffico modesto, tantissimo sole e aria pregna di sale… cosa posso chiedere di più? Mi sento vivo e felicissimo! Arrivo sudatissimo, ma sorridente e deciso a trascorrere delle ore di puro divertimento. Ma qui, più che il mare (non all’altezza di Nha Trang) la fanno da padrone le dune di sabbia (sembra di essere nel deserto!) ed il pittoresco villaggio di pescatori. Barche coloratissime a perdita d’occhio e una brezza marina che fa sentire così vivi… In questa tappa sono venuti a mancare all’appello i brasiliani: di fatto siamo rimasti in tre ed è l’ultimo capitolo di questo viaggio collettivo. L’indomani saluto Fabio e Jack con la promessa di rimanere in contatto e la speranza di rincontrarci da qualche parte nel mondo… A me, mancano 400 km scarsi per raggiungere la Cambogia: abbandono la costa e faccio rotta decisa verso ovest. Lungo la strada attraverso Ho Chi Minh City ed il suo traffico intenso e caotico mi fa veramente penare: le code iniziano 30 km prima del centro cittadino…  Inoltre il caldo è intensissimo e dentro gli abiti da moto sembra di fare una sauna. Sudo tantissimo e, nonostante le soste per bere, sento che il mio corpo sta veramente faticando. Ma voglio uscire da questa città e raggiungere Cu Chi, tuttavia mi ci vorranno più di due ore per lasciare la città e dirigermi verso la mia meta. Arrivo stanco, ma soddisfatto: i chilometri di oggi mi hanno portato a visitare i famosi tunnel sotterranei utilizzati dai Viet Cong durante la guerra contro gli statunitensi. Visitare questi capolavori d’ingegneria non lascia indifferenti: oltre 200 km di gallerie per vivere sottoterra per anni, resistere e combattere per la propria terra… Le famose trappole utilizzate contro i soldati USA fanno veramente venire i brividi e immaginarsi a camminare nella fitta vegetazione con il rischio di finirci dentro… non è un bel pensiero! In questa zona, gli statunitensi hanno utilizzato praticamente di tutto: carri armati, artiglieria, diserbanti, napalm, bombe… eppure hanno subito perdite terribili. Esasperati dalla situazione, si sono macchiati del massacro di My Lai, sterminando indiscriminatamente la popolazione di diversi villaggi e cercando, in seguito, di insabbiare l’episodio. I fieri vietnamiti non hanno dimenticato quanto accaduto, tuttavia sono un popolo pacifico e, visto il passato recente, hanno ben ragione di esserlo. I martiri vengono ricordati in ogni città e incontro numerosi monumenti, anche in mezzo al nulla lungo la strada che mi conduce verso la Cambogia. Oggi fa leggermente meno caldo, ma devo comunque bere tantissimo. Mi fermo tante volte in cerca di una banca che cambi i miei Don vietnamiti in Riel cambogiani… senza successo. Fortunatamente riesco almeno a recuperare un po’ di dollari, necessari per il visto e comunque ben accetti in Cambogia. Arrivo in frontiera più tardi di quanto prefissatomi: sono le 15:00, ed inizio le pratiche per lasciare questo sorprendente Vietnam. Tutto liscio al controllo passaporti, vado dal Custom Officer e… sorge un problema enorme: nonostante in Vietnam non sia necessario il Carnet de Passages, alla frontiera d’ingresso (Cau Treo) mi era stato timbrato, tuttavia senza rilasciarmi il documento standard per circolare nel territorio vietnamita. E, senza di esso, è come se avessi viaggiato illegalmente all’interno del territorio nazionale. Si tratta solo di un foglio, ma l’ufficiale che ho di fronte non ne vuole sapere di lasciar passare la mia moto e… non parla neppure inglese, quindi c’è poco da spiegarsi! L’unico impiegato che lo parla finisce il turno e si dilegua dopo un minuto… La situazione è semplice, ma drammatica: l’ufficiale in questione chiama telefonicamente dei superiori ad Ho Chi Minh City e riceve l’ordine di non farmi passare. La sua sentenza è: visto che a Cau Treo mi hanno timbrato il Carnet, devo tornare là (!!!) e farmi timbrare l’uscita! Pazzesco! Pur non facendo la costa, sono distante più di 1000 km e… tutto questo è semplicemente assurdo! Sono entrato e sto uscendo con la stessa moto, il problema non l’ho creato io e… mi viene chiesto di tornare da quei ‘fenomeni’ che non sanno quali siano le procedure di frontiera per il Paese per cui lavorano?! L’ufficiale mi guarda serio ed inamovibile, ho poco da esser allegro. Più volte mi sono reso conto che i vietnamiti sono ‘quadrati’: se chiedi una cosa più volte, cercando di mediare, non otterrai mai un esito diverso nelle risposte. Se hanno delle istruzioni non le discutono: sembra non riescano ad immaginare di poter mediare o di poter uscire dagli schemi. Dunque cosa faccio? il tizio è glaciale: mi invento che ho un volo dopo due giorni da Phnom Phen, ma a malapena capisce cosa voglia dire… e mi fa capire a gesti: “Tu puoi andare, ma la moto resta qua!” Pazzi! Che faccio? Mi fingo un attore famoso (come fecero due miei amici con i Custom Officer in Sri Lanka) e minaccio di riportare tutto in televisione? Chiedo di chiamare l’Ambasciata Italiana? Potrei provare a corrompere l’ufficiale con qualche dollaro, ma è giorno e c’è troppa gente… Inoltre mi hanno timbrato il visto per l’uscita dal Paese ed in frontiera non ne rilasciano di nuovi per rientrare. Così mi prendono il passaporto per avviare una lunga pratica per richiede un nuovo visto secondo le modalità che solo loro conoscono. Non ci credo, davvero: non ho fatto nulla di male e questo inconveniente potrebbe far saltare tutti i miei piani di attraversare la Cambogia e tornare in Thailandia. Rifare la strada sino al nord è fuori discussione, non mi resta che provare ad attraversare un’altra frontiera poco più a sud, ma mi toccherà fare all’incirca altri 200 km… eppure sembra l’unica soluzione. Là arriverei a sera (visto che ho trascorso un’ora e mezza dinanzi a queste facce di bronzo, oramai sono le 16:30) e magari l’ufficiale di turno non potrebbe chiamare i suoi superiori vista l’ora… oppure riuscirei a prenderlo in disparte e mollargli qualche dollaro… Ma sono solo idee e nulla di sicuro: dinanzi a me aleggia lo spettro di dover rifare tutta la strada sin qui e a ritroso! E nuovamente mi ritroverei in Laos, con altrettanta strada per rientrare in Cambogia, stavolta da nord e non da est! Calcolo almeno una settimana di viaggio non stop per raggiungere la mia destinazione! Sono teso e stanco, ma la mia mente è sveglia e mi rendo conto che l’unica strada è provare con la frontiera a sud, altrimenti risalire evitando la costa (per risparmiare chilometri preziosi) e ritentare presso tutte le frontiere con la Cambogia o addirittura il Laos. Davvero non un’ipotesi divertente. Ma non ho scelta. Preparo la moto, bevo, faccio fuori qualche frutto e preparo mente e corpo alla prossima galoppata. Aspetto che mi ridiano il passaporto e… l’ufficiale mi richiede nuovamente il Carnet. Strano. Che succede? Lo prende con sé e si dirige verso gli uffici dove si trova anche il mio documento personale. Ritorna dopo poco e mi chiama nel suo ufficio, tira fuori un timbro e si mette a contemplare il mio Carnet Mi si illuminano gli occhi! Dinanzi a me c’è la possibilità di poter evadere da questo incubo e poter riprendere la mia rotta originaria! L’ufficiale ci pensa un po’… Io lo guardo come un bambino dinanzi ad una vetrina per giocattoli con il papà che sta per mettere mani al portafogli… ma questi non si smuove. Mi fa capire che vuole tagliare il foglio che riguarda la frontiera di Cau Treo e risolvere il problema. NOOO! Così facendo perderei i soldi della fideiussione del Carnet! Protendo le mani in avanti e lo fermo. Vagli a spiegare che disastro sarebbe! Riprende il timbro in mano… lo riposa sulla scrivania… Mi vien voglia di dare un colpo di mano e timbrare mentre si volta! Sono secondi che durano ore! Va per prendere le forbici… fermati! Lo guardo e gli faccio capire che con un timbro ce ne andiamo a casa tutti contenti, a lui non costa niente e a me evita un universo di problemi. Lentamente muove la mano destra, guarda la data sul timbro per la terza volta e… finalmente appone il suo timbro sul riquadro di uscita del Carnet… sono libero! L-I-B-E-R-O! Per due ore sono piombato in un incubo! Non so quale entità ultraterrena mi è venuta a ripescare con tutte le scarpe! Ringrazio l’ufficiale come se mi avesse regalato la grazia ad un passo dall’esecuzione… che sollievo! L’ufficiale del controllo visti (almeno lui gentilissimo, mia aveva anche dato una bottiglietta d’acqua fresca) si fionda a recuperare il mio passaporto e posso distendermi e riniziare a respirare aria, non veleno. La piacevole parentesi Vietnam stava incurvandosi, diventando da tonda a graffa… Mi sento così risollevato e leggero da regalare una mela a testa (nel mio bauletto non è rimasto altro) ai due ufficiali, quasi fossimo amici da sempre! Mi fiondo verso il confine cambogiano e mi sembra di pesare 50 kg in meno. Qui parlano inglese, mi sorridono e nonostante siano le 17:40 e la frontiera chiusa da quaranta minuti, mi fanno un visto al volo e mi offrono anche da bere della freschissima acqua. Impagabili, vorrei abbracciarmi e baciarmi tutti quelli che vedo in divisa! Anche qui in Cambogia il Carnet non ha validità e devo fare un documento di transito speciale. Ma i Custom Officer sono via e devo rimandare a domani. Nessun problema! Ci sono dei casinò ad un chilometro e posso soggiornarvi… di modo da fare i documenti il giorno successivo. Peccato i prezzi: 20 $ la stanza più economica… Mentre sono alla reception una ragazza mi si avvicina e mi chiede se voglio giocare a carte. Forse è cieca: non vede che sembro uno straccio strizzato con indosso una tuta tracimante di sudore e sovrastata dai capelli di Ace Ventura. Per fortuna una guest house è affianco al casinò e per soli 5 $ posso affittare la stanza più calda, sporca ed infestata da formiche ed insetti vari che io abbia mai visto. Ma un piccolo ventilatore ed una doccia senza acqua calda sono quanto di meglio possa chiedere. Prima, però, mi concedo due scambi con dei ragazzi che avevo visto in un campo: rete da pallavolo bucata, campo di terra delimitato da foglie e terra rossa. Mi unisco a loro con pantaloni da moto e stivali, sudatissimo e puzzolente, ma dopo mesi finalmente tocco una palla da pallavolo (il mio sport preferito!) e  salto come se non avessi trascorso il pomeriggio a patire caldo e nervosismo! Al calar del sole, posso tornare in stanza: per oggi ho dato, “Domani è un altro giorno!” (diceva qualcuno) e posso concedermi una cena schifosa a base di pollo gommoso e riso incollato. Ma, considerando la piega che aveva preso la giornata, ho tutti i motivi per sentirmi la persona più fortunata… del mondo no, ma della Cambogia sì!

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