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IMOLA E MUGELLO VISTI DA SOTTO UN.. OMBRELLO.
- Updated: 11 Giugno 2019

Avere degli amici nel mondo “racing” è bello, per non dire bellissimo.
Sei fiera di loro, ti senti orgoglioso, segui il campionato in modo diverso, tifi piloti che mai avresti immaginato perché sai quante energie ci sono dietro.
Poi però arrivano proposte come “Mi fai da ombrellina al Mugello?” che prima ti fanno ridere, poi realizzi la richiesta e accetti il gioco e pensi “perché no?”.
Ma partiamo da un discorso generale, dicendo che lo schieramento in griglia è momento clou della giornata di un pilota.
È il momento prima del via, della massima concentrazione.. dove ciò che si è costruito in due giorni di lavoro è in campo, e che niente può più cambiare fino alla bandiera a scacchi.
E per uno spettatore è un lasso di tempo meraviglioso, dove vedi questi ragazzi concentrati, con lo sguardo fisso e con un solo obiettivo in mente.
Proprio per questo è un momento magico, perché è una sorta di resa dei conti prima della battaglia ufficiale.
Fino allo scorso anno avevo calpestato il suolo di una griglia di partenza in una sola occasione: a Jerez nel 2017, al fianco di un pilota al quale sono legata da sincera amicizia da molti anni, dove ero spettatrice fortunata e aiutante. Un’emozione incredibile.
Quest’anno, invece, mi è capitato più volte e nei due maggiori campionati mondiali..in vesti diverse ed “ufficiali”.
Nel giro di un mese ho vissuto due esperienze in WorldSBK e in MotoGP, per le quali ancora ringrazio chi le ha rese possibili, perché uniche.
Seppur siano due campionati di enorme successo e seguito, sulla mia pelle ho vissuto due esperienze totalmente diverse.
Nel campionato di serie tutto è stato più semplice, più “terra a terra”, come piace a me.. come sono io. Un weekend dove la principale occupazione era quella di accoglienza e servizio agli ospiti in hospitality, con in più il ruolo da “ombrellina” in pit walk e in griglia di partenza.
Un attimo prima a servire caffè, a dare info agli ospiti e poi una rapida preparazione per il momento più importante di giornata per ogni team di corse.
Maglia del team, jeans scuro, un filo di rossetto (rosso – in pendant con la tinta del team), scarpa sportiva comoda e ombrello in mano.
L’attesa dei meccanici, l’arrivo del pilota, il caldo dell’asfalto che sale e aumenta la temperatura della situazione, e poi la botta di calore delle termocoperte.
Una squadra straniera che controlla e fa gli ultimi aggiustamenti del caso in maniera super professionale, e un pilota con lo sguardo fisso, a riprendere le curve e le mosse del circuito di Imola.
Ma cosa si prova quando si è lì, a tenere un ombrello? Tante, tantissime emozioni e una miriade di pensieri.. soprattutto per chi è lì per la prima volta.
“Starò tenendo l’ombrello in posizione giusta? Il pilota sarà del tutto coperto? Dove arriva l’ombra? Sarò nel mezzo e darò fastidio alla squadra?” – questo è ciò che personalmente ho pensato, mentre con nonchalance fissavo l’orizzonte, guardando lo scorrere del tempo e la tabella che segnava i minuti che ci separavano dal giro di ricognizione.
La prima sirena, le strette di mano, gli in bocca al lupo.. la visiera del pilota che si chiude e il silenzio che cala.
E dopo la seconda sirena, il rientro in pit lane in fretta, e conseguentemente il ritorno in hospitality.. con un occhio sullo schermo per vedere ciò che succede in pista e che, soprattutto, è legato al pilota a cui sei stato accanto fino a poco prima.
Ma tutto non è sempre così semplice, così facile.
E l’ho imparato subito, nella gara di domenica di Imola che a causa del maltempo non si è disputata.
Rispetto giorno prima, con il clima mite di maggi, il cielo si è presentato grigio e freddo.. e a disposizione dal team ho avuto in più una felpa, sotto la quale si è “nascosto tutto il nascondibile”.
Canotta, maglia, maglioncino.. per cercare di rendere un’atmosfera fredda il più possibile gestibile.
Il momento della gara si avvicina, e ti ritrovi nuovamente con l’ombrello in mano che, una volta tanto, non è servito solo per dare il nome alle “ombrelline” ma anche per ripararsi dalla forte pioggia.
Lo sguardo fra le ragazze in pit lane era di intesa comune, per farsi forza l’un l’altra, augurandosi che oltre alla pioggia non arrivasse anche il vento.
Una pitlane che sotto il cielo grigio sembrava due volte più lunga, e percorsa per 6 volte solo per Gara2. Una volta torni ai box da sola, una volta accompagni il meccanico e poi la terza volta speri di tornarci con il rumore dei motori in sottofondo. Ma, invece, ad Imola non è stato così.
Rientrata dal secondo tentativo di partenza della gara, torno a lavorare, finché dagli altoparlanti si sente la comunicazione di riapertura della pitlane. E lì, al terzo schieramento.. arriva il momento del caos totale.

Il caldo delle termocoperte che il giorno prima non volevi, diventa il tuo più grande alleato.
Il vento, che il giorno prima richiedevi con tutte le forze, si presenta e muove l’ombrello carico d’acqua che inevitabilmente scarica tutto sul cupolino della moto, mettendoti in testa mille paturnie.
Un’ombrellina “di professione” solitamente regge il gioco, sorride e ammicca al fotografo in ogni occasione.. ma una come me, che invece vive appassionatamente ed attivamente per questo mondo, si trova in una situazione dove capire i discorsi fra meccanici, pilota e commissari Dorna diventa un momento chiave.
Ti ritrovi in mezzo a discorsi fra i piloti, meccanici e quando poi arriva la sentenza definitiva; la gara non si corre. Il pilota scende dalla moto – con un mood non del tutto sereno – e tu devi fare una sola cosa: seguirlo, tenere il suo passo e accompagnarlo fino al box.
Mentre questo tipo di cose accadono non ci fai subito caso, ma vivere situazioni diverse che alla fine non capitano a tutti ti rendono bene o male una persona fortunata.
Nella giornata in MotoGP, oltre al fatto di aver avuto un weekend di tempo splendido, la prima differenza sostanziale è stata una: l’outfit.
Senza scendere in campo per la classe regina, bensì nelle due minori, l’abbigliamento richiesto era diverso: tacco e vestito del team.
La sottoscritta non ha mai messo un tacco 12 in vita sua, eppure la sua prima volta l’ha avuta su un asfalto speciale.. quello del Mugello.
La preparazione per la griglia è stata lenta, attenta, precisa: trucco, sistemata ai capelli e poi la vestizione.
Gonna corta, top sopra l’ombelico, giacchetto, tacco nero ed ombrello in mano.. e via andare.

Poter calcare la griglia della Moto3, seppur con piloti e team non italiani, è una cosa bellissima.
Ma l’attenzione ai dettagli, il clima più “serio” e pesante si sono sentiti tutti.
Dalla foto con tutta la squadra sulla griglia al lavoro curato del fotografo ufficiale del team, dal clima di protezione dei meccanici nei confronti del pilota al calore del pubblico circostante.
Quando sei su una griglia di un mondiale che solitamente vedi e segui solo in tv, le emozioni si amplificano e ti senti diverso: senti il caldo ma non lo soffri, ti fanno male le scarpe ma non ci pensi, vuoi sorridere perché sei immensamente felice dentro ma rimani sempre con un’espressione imperturbabile.
E quando tutto ti sembra bellissimo, esci dalla pitlane, torni al box e cambi il vestito perché ti tocca la griglia della Moto2.
E lì, un altro outfit di quelli che mai avresti pensato di poter indossare: un tubino nero molto corto .
Il tempo scorre via velocemente; non c’è tempo per il trucco, per sistemarsi.. si cambia ombrello e si riparte.
E quando pensi di aver provato qualsiasi emozione felice esistente, ecco che arriva qualcosa di ancora più forte.
Entrare in pista, mettersi sulla prima casella della griglia.. con una distesa di asalto libera davanti, ad eccezione dei vari fotografi e cameramen – CHE MERAVIGLIA.
In prima fila al Mugello.. nel “mio” gran premio di casa – non so spiegare cosa si provi, oltre che ad un’emozione immensa ed ad una morsa allo stomaco incredibile, smorzata solo con l’arrivo della squadra.
Quest’ultima, che mi ha accolta in maniera più “amichevole” (contro ogni mia previsione, parlando del mondo-motomondiale!) e con cui ho atteso il poleman della giornata.

Per una persona timida, o comunque non abituata a certe cose, trovarsi con le telecamere puntate addosso non è cosa subito facile da apprezzare.. ma poi lo prendi come un gioco e a quel punto, come i duri, si inizia a giocare davvero.
Dimentichi il caldo, dimentichi la mise (che difficilmente avresti scelto autonomamente), dimentichi le telecamere.. e tutto ciò che puoi fare è respirare a pieno quel momento in cui ti senti vivo, fortunato e in cui ti sembra di sognare ad occhi aperti e realizzare un sogno che non pensavi nemmeno di avere.
Ciò che posso con certezza dire è che sì, MotoGP e SBK sono diverse, ma per chi è appassionato e per chi ad ogni weekend di gara non riesce a dire di no, stare in pista è una cosa unica e speciale.. che vorrei augurare a tutti di poter vivere almeno una volta nella vita.
Magari in jeans, o magari con un vestito largo e lungo,.. con un paio di Nike ai piedi o con un tacco a spillo.. in pole position o nell’ultima casella della griglia…. ma con un solo obiettivo: quello di sentirsi vivi, di godere dell’odore di asfalto e benzina, e di poter assaporare il gusto del pericolo, della paura ma anche dell’adrenalina, che quasi per simbiosi passa dalla squadra e dal team a te.
Ognuno può dire la sua.. ma per me niente è più magico del mondo a due ruote, ed ora posso dirlo ancora più forte.
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